120 LA RINUNZIA DI RAPALLO Nè rammenterò i termini disastrosi del compromesso Nitti-Lloyd George, per nostra buona sorte rifiutato dalla Jugoslavia nel gennaio 1920; e il tentativo susseguente, fatto dall’onorevole Nitti a San Remo, di realizzare quel « memorandum » del 9 dicembre, che prima era stato ricusato ; e il rifiuto della Francia e dell’Inghilterra di consentirvi quelle indispensabili, definite applicazioni che l’onorevole Nitti domandava; ed infine le trattative iniziate e troncate a Pallanza nel giugno di quest’anno. La interruzione di queste indecorose conversazioni, causata dalla crisi ministeriale, fu già un beneficio incomparabile, dovuto alla resistenza opposta tenacemente alla politica rinunziatrice dalle forze nazionaliste, dovuto soprattutto all’espressione più concreta e più viva che tale resistenza ebbe nell’opera ardimentosa e chiaroveggente di Gabriele d’An-nunzio, custode della vittoria e del diritto italiano nell’Adriatico. Frattanto la situazione internazionale andava mutando. Caduto il signor Clemenceau, esautorato da prima Wilson dal Senato nord-americano, e poi rovesciato nelle elezioni presidenziali, ecco che la Jugoslavia si trovava isolata innanzi all’Italia. Ora è lecito chiedere: al momento in cui furono cominciati dal Governo italiano gli approcci per la ripresa delle trattative con la Jugoslavia, ebbe il Governo italiano un apprezzamento esatto di tale situazione? L’onorevole ministro degli esteri non potrà smentirmi, se io consapevolmente affermo che una esatta valutazione non vi fu. Da questa impostazione erronea delle trattative sono derivati lo svolgimento e l’esito insoddisfacente dei negoziati di Rapallo. Che cosa avvenne infatti a Rapallo? Dopo due giorni di opposizione disperata, la roccaforte formidabile dell’in-