26 RICOGNIZIONE DELL’ALTRA SPONDA in Dalmazia, dell’italiano; in Croazia, del tedesco o del magiaro; nei paesi ancora sottomessi al Sultano, Erzegovesi e Bosniaci vedevano appena balenare i primi pallidi albori d’una cultura. L’idioma che si parlava nelle campagne e nelle borgate dell'interno della Dalmazia era un dialetto, anzi un complesso di dialetti simili, ma pure assai differenti da luogo a luogo: lungo il mare, il dolce linguaggio veneto, imposto dalla potenza e dai traffici della Dominante, aveva spento ogni eco del « dalmatico », antico idioma romanzo della regione adriatica orientale, prova irrefutabile della sua totale originaria latinità, e che ebbe, ignorato, obliato, le estreme risonanze nella solitaria isola di Veglia, ove, dodici anni or sono, morì un vecchietto, il quale era stato l’ultimo a parlarlo, e che non portò nella tomba il segreto di quella lingua sparita solo perchè un nostro insigne glottologo, Matteo Bartoli, istriano di nascita, giunse in tempo a raccogliere dalla bocca di lui quell’estrema eco di un’antica gente che aveva dimenticato la propria favella. L’affrancamento spirituale e politico dell’elemento nazionale, che nel 1845 condusse all’adozione del croato come lingua di prammatica per la Dieta provinciale di Zagabria, ripercosse le sue conseguenze in Dalmazia, ove le incolte masse slave portavano, senza accorgersene, il peso della benefica egemonia degli Italiani. La luce, se luce fu, da quel tempo in poi venne d’oltre monte.... E Lissa, per nostra disgrazia, compì l’opera poco appresso. Ma una vera lingua serbo-croata, in sostanza, non esisteva ancora. Fu costituita giorno per giorno, artificialmente, come si è fatto per il volapuk e l’esperanto, componendo capricciosamente radici, suffissi e prefissi, deformando secondo empiriche analogie vocaboli italiani o tedeschi, spi-