132 LA RINUNZIA DI RAPALLO Fauro non poteva non desiderare che nella crisi, che già si annunziava, l’Austria dovesse soccombere; non poteva, in quel momento, parteggiare se non per la Serbia contro l’Austria; ma è pur vero che quell’articolo non ha una parola che possa, comunque, significare rinunzia alle perenni aspirazioni adriatiche dellTtalia. D’altronde, in quello stesso numero, come sempre, 1’« Idea Nazionale » portava fin anche sulla testata la dichiarazione dell’integrale programma di quelle rivendicazioni, Dalmazia compresa, che ebbero nel fulgido pensatore ed eroe triestino, Ruggero Fauro, uno dei più fervidi e costanti propugnatori. L’Adriatico dellTtalia fu l’ideale di tutta la sua vita. Rivendicazioni integrali, affermate in libri che rimangono monumento indelebile del suo genio precoce, troppo presto troncato; popolarizzate in cento conferenze, attraverso cento comizi durante la lunga travagliosa vigilia della guerra; riaffermate nelle sue lettere agli amici, pochi giorni prima di cadere sul campo; trasmesse a noi, suoi fratelli di fede, come il testamento del suo spirito veggente nell’avvenire, come la volontà invitta della sua anima immortale! Dice poi l’onorevole Salvemini, che l’irredentismo dalmatico non è che un mostricciattolo nato dopo il settembre 1914. Il professor Salvemini che certo, fuori del Parlamento, quando parla dalla sua cattedra di professore, merita di essere rispettosamente ascoltato, non può ignorare il carteggio del San-fermo e del Battaggia, rappresentanti della municipalità veneta presso il generale Bonaparte, due patrioti modesti ma coscienti e fervidi, che fecero quanto poterono per salvare l’onore e la libertà di Venezia morente, nelle giornate fatali avanti Campoformio. Egli certo non ignora o dovrebbe sapere che da quel carteggio scaturisce continuo, preciso,