LA RIVALE DI VENEZIA Orbene, l’italiano che, in nome di Torquato Tasso, compatisse i popoli jugoslavi per il loro culto devoto alla memoria e all’opera di Ivan Gundulic, potrebbe avere qualche ragione, da un punto di vista strettamente estetico, ma dimostrerebbe di non intendere nulla di ciò che siano storia e demopsicologia. Che significano mai, nel-1*« Osman », la tessitura del racconto epico e gli artifici della composizione? Due principi vi hanno risalto, che sono bastati ad assicurare al poeta la venerazione della « Narod »: l’unità etnica e morale di tutti gli Slavi e l’indipendenza totale degli Slavi balcanici. Si può ragionevolmente contestare la possibilità di attuazione di questo secondo postulato e, più ancora, il fondamento obiettivo del primo. A tacere delle altre popolazioni ritenute più o meno erroneamente del medesimo ceppo, basta ricordare le differenze essenziali di sangue, di religione, di tradizioni e perfino di grafia, che renderebbero forse impossibile la disegnata fusione fra Serbi e Croati. Peraltro vi è, innegabilmente, uno stato d’animo, di cui bisogna tener conto, e che è quello degli avvocati, dei maestri, dei giornalisti, di gran parte del clero sia cattolico che ortodosso, insomma di coloro che esercitano l’iniziativa e la direzione del movimento politico in questi paesi: ossia il fanatismo della « Narod », il quale ripete ancora, invocando un eroe che compia il riscatto di essa, il concitato appello che il cantore di « Osman » rivolgeva, invano, a Ladislao di Polonia : Nemanicu bud’ Stiepanu Ti namiesik krune carske Ciem pod tobom zemlje ostanu Sarbske, raske i bugarske!