I. Si racconta che tempo addietro uno dei nostri uomini di governo, fra i più direttamente impegnati nella funesta politica rinunziatrice dei diritti italiani in Adriatico, essendo stato esortato a recarsi in Dalmazia per vedere coi suoi occhi i termini concreti del problema, la cui soluzione poteva essere commessa eventualmente a lui, si schermisse con queste parole : — No, non andrò in Dalmazia. Se vi andassi, sarei preso io pine da quella tragedia. Colui, così parlando e pensando, credeva attenersi ad una norma elementare di « realismo » politico. E aveva perfettamente torto, poiché nulla è realtà, realtà concreta e sanguinante, capace delle più concrete e sanguinanti conseguenze, quanto la tragedia, come egli giustamente la chiamava, dell’italianità dalmatica, oggi, dopo due anni di occupazione delle nostre armi, dopo due anni di angosciosa trepidazione fra la speranza del definitivo ricongiungimento alla madre patria e il timore del minacciato abbandono all’oppressione serba. Prescindere da una tale realtà nella valutazione di una ipotetica soluzione transazionale del problema adriatico significava e significa non soltanto confessare una propria pietosa insensibilità patriottica che implica,