io6 LA RINUNZIA DI RAPALLO tadini del territorio dalmatico non dicono neppure di essere jugoslavi, si dichiarano dalmatinì. E neanche l’insistente azione di propaganda slava e austriacante, esercitata su di essi per così lungo tempo sopra tutto dai preti della scomparsa Monarchia, ha potuto spogliarli dell’atavica consuetudine di considerare la lingua italiana come quella degli scambi commerciali e di un superiore livello di vita. Si aggiunga che gran numero di Morlacchi, avendo servito nell’esercito austro-ungarico, conobbe i larghi agi e il benevolo trattamento della prigionia in Italia, donde ciascuno di essi è ritornato col ricordo simpatico dell’ospitalità ricevuta e con la conoscenza, per lo meno, del dialetto della provincia ove fu ospitato. Ora, per tutte queste ragioni, in molte zone della Dalmazia occupata i contadini hanno dato segno di accettare volentieri l’Italia, la cui presenza quivi è già guarentigia di ordinata tutela per essi e per le loro terre. Senonchè di continuo essi fanno conoscere il senso di inquietudine che li tormenta per l’avvenire. Resterà l’Italia ? Se fossero sicuri che restasse, essi si dichiarerebbero senza titubanze per essa. Ma tale sicurezza non hanno, e frattanto paventano le vendette dei Serbi. Questa incertezza, determinata dal regime di precarietà permanente al quale più sopra accennavo, e aggravata dalle frequenti manifestazioni rinunziatarie di nostri uomini di governo e di nostri giornali, contiene e spiega tutte le cause dell’attuale stato d’animo della popolazione dalmatica. È uno stato di cose che dissuade dall’aderire all’idea della annessione all’Italia anche numerosi elementi colti delle città, fino ad oggi militanti nel campo slavo, moltissimi dei quali si riconcilierebbero con l’Italia sol che non avessero a temerne il successivo abbandono. Sono gli op-