154 LA PACE ADRIATICA Danubio e della Sava esercitava la sua ormai tradizionale funzione provocatrice. E occorreva anche una intesa diretta, comprensiva e leale, fra Italia e Croazia, intesa che non poteva concretarsi se non mediante il contatto personale dei loro due Condottieri. Mussolini era l’uomo atto a comprendere la passione di un capo esule di insorgenti, a volgere ad essa la sua autorità e la sua forza di attrazione, e ad armonizzarla col più vasto intento di un migliore assetto dell’Europa sud-orientale. Da parte sua Ante Pavelic, a differenza di molti di coloro che in tempi remoti e prossimi avevano tenuto la direzione del movimento nazionale croato, conosceva l’Italia ed era in grado di valutarne la civiltà e la potenza, dimenticando tutti gli astiosi e falsi preconcetti coi quali la vecchia doppiezza austriaca e la recente tracotanza serba avevano successivamente intorbidato le relazioni italo-croate. Era stata l’Austria, che, durante le lotte del nostro Risorgimento, aveva adoperato sempre a preferenza, « qui nella vigna a far da pali », i reggimenti croati, attirando su questi tutto il risentimento delle popolazioni lombarde e venete; e che, dopo la sconfitta del 1859, e più ancora dopo la vittoria del 1866, infrangendo intenzionalmente l’unità della gente dalmatica, nella quale fino allora non si era fatta, non che antitesi, distinzione fra Italiani e Slavi, aveva aizzato questi contro quelli per meglio sviluppare la sua azione preventiva di fronte a qualsiasi tendenza irredentista verso l'Italia. Ed era stata la Serbia che, smisuratamente ingrandita con l’eredità territoriale di gran parte dell’Austria, avendo usurpato sotto la nuova maschera di Jugoslavia l’egemonia su Croati e Sloveni, aveva trascinato quei popoli di cultura superiore alla sua e di più progredita evoluzione politica