LA PACE ADRIATICA 167 * * * Perchè non dirlo? Al compimento delle aspirazioni italiane per la Dalmazia mancano alcuni punti importanti: Pago, la graziosa città edificata « ex novo » da Giorgio Orsini per decreto della Serenissima; la deliziosa Lesina, che custodisce fra le sue agavi e le sue palme i portenti della Loggia del Sammicheli e dell’ Ultima Cena di Matteo Rosselli; Ragusa, l’incantevole, l’illustre, la civilissima Ragusa, che quasi scambieresti per una Siena a specchio del mare di Capri... Orbene, conveniamone francamente, questi sacrifici, se pur considerevoli, sono stavolta giusti e proporzionati ai vantaggi. D’altra parte, la fiducia che si deve accordare a una nobile Nazione qual è, e si presenta ora sul terreno di una nuova storia, la croata, e tutto il complesso delle condizioni e garanzie che avvalorano i trattati del 18 maggio, assicurano che la nostra lingua e la nostra cultura potranno avere domani e sempre nelle estese zone dalmatiche cedute dall’Italia quella onesta libertà di sviluppo che i medesimi trattati assegnano per parte nostra alla lingua e alla cultura croata nei territori annessi al Regno d'Italia. Stavolta, sì, si poteva veramente arrivare e si è arrivati a questa pace, che sarà durevole, fra due popoli, due idiomi, due culture, aventi una stessa fonte di civiltà: la Roma di Cesare e di Cristo. Non solo i passati dissidi sono cancellati, ma, spazzati via coloro che avevano interesse a perpetuarli, la Dalmazia assumerà una funzione essenziale per la reciproca comprensione e la più stretta cooperazione fra i due Paesi. Questo pensiero fu già, in tempo lontano, dei migliori patrioti di Croazia, e tornerà a guidare l’azione dei loro