ITALIANI DISERTORI E PATRIOTI SLAVI 23 che riferve ora nei cuori per i fratelli d’oltre confine, è riassunto nel consueto binomio: Trento e Trieste. Ma degli ammirabili italiani di Dalmazia nessuno si ricorda. A Ragusa, a Curzola, a Cattaro non si tratta di casi isolati di insensibilità nazionale: i regnicoli vi si slavizzano in blocco, senza avvedersene. Sono quasi tutti pugliesi, fruttivendoli, scalpellini, muratori, provenienti per lo più da Bisceglie, da Monopoli o da Mola di Bari. A Ragusa, come già ho detto, sono un migliaio o poco più; a Curzola, che conta duemila abitanti scarsi, oltrepassano il centinaio; a Cattaro, ove la popolazione, presidio militare compreso, supera appena tremila anime, la loro colonia ascende a circa trecento persone. Questi poveretti, venuti a cercare lavoro in Dalmazia, per trovare più presto un collocamento e non essere perseguitati dagli oltraggi non solamente verbali della plebe slava, sono istintivamente indotti a dissimulare, per quanto è possibile, la loro qualità d’italiani, di cui realmente non hanno coscienza nè, tanto meno, orgoglio. L’unico vincolo che ancora li legherebbe alla patria, il dialetto nativo, non serve se non d’impaccio, poiché non permette loro di intender bene e di farsi bene intendere neppure dai connazionali del luogo, i quali parlano veneto. I loro figli, almeno a Ragusa e a Cattaro, ove mancano scuole italiane, devono frequentare le slave, e ivi apprendono a parlare e scrivere una lingua che offre a questa nuova generazione il modo di partecipare a tutte le manifestazioni della vita civile nel paese di adozione. Nelle scuole slave, poi, i figli degli immigrati odono predicare sentimenti di nazionalità, che non possono esser respinti dalle loro anime ignare: giunti alla pubertà, si mettono a fare all’amore con ragazze, per lo più, slave: