I CAVOLI DI DIOCLEZIANO 59 guasta o traviata dal ripicco: essi non giungono mai, nel reggimento della cosa pubblica, a sollevarsi a una considerazione dell’interesse generale più ampio del loro proprio, a ricordarsi che amministrano il bene di tutti, anche degli avversari. Il casetto del teatro di Spalato rappresenta tipicamente le storture della loro mentalità. Anni sono, come raccontai, un incendio — certamente doloso — distrusse l’antico teatro italiano. Il Consiglio comunale votò subito una spesa di circa un milione e mezzo per la costruzione di un nuovo grande teatro, non occorre dirlo, slavo. Finito il teatro, che narrasi sia costato una somma alquanto più ingente della preventivata, il Municipio non volle mai concederlo a compagnie italiane, sebbene tutti a Spalato, signori e popolani, vecchi e bambini, comprendano benissimo e parlino correntemente la nostra lingua. Ma poiché di compagnie slave che possan venire fin qui e sopportare la grave spesa d’esercizio non ve ne sono, il teatro non agisce quasi mai. E il bilancio del Comune, fra l’ammortamento e gl’interessi del debito contratto per la costruzione e la somma necessaria per la manutenzione, è obbligato a un sacrificio annuo considerevole, per tenere, invece che un « Teatro Municipale » aperto, un « Opcinsko Kasaliste » chiuso. * * * E pure, in ventotto anni di padronanza su le cose del Comune e della Dieta, gli Slavi non sono riusciti a mutare più che superficialmente il carattere della città, nè, ripeto, a generalizzare l’uso della loro lingua invece della nostra, quantunque ai 2000 Italiani ufficialmente censiti non si sia mai voluto, contro le esplicite guarentigie della legge fonda-mentale della Monarchia, concedere nemmeno una scuola