RICOGNIZIONE DELL’ALTRA SPONDA poggiare, come meno peggio, il partito croato del diritto, il quale vorrebbe, com’è noto, la Dalmazia unita alla Croazia e alla Slavonia, e la Monarchia d’Absburgo ricostituita su le basi del trialismo. Indistruttibile germe di irredentismo, del resto, è il rimpianto della piccola libera repubblica, che il destino fece simile anche nella morte alla Serenissima. Ma la tragedia della fine fu più lucidamente e crudelmente sentita in Ragusa, ove le molli voluttà d’un perenne carnevale non avevano spento il senso della dignità civile. Poi che il gonfalone di San Biagio fu caduto, e sul palagio del Rettore sventolò il tricolore francese, le famiglie nobili si accordarono in una risoluzione degna di Sparta. Decisero di estinguersi. Le coppie degli sposi giovani e innamorati rinunciarono alla sognata figliolanza: gli adolescenti e le fanciulle si condannarono al celibato. Dei grandi casati che vantavano i loro capostipiti fra i profughi d’Epidauro, non restò che la memoria su le pagine ingiallite del Libro d’Oro. Il patriziato di Ragusa non aveva voluto sopravvivere alla repubblica. Narrano bensì le cronache scandalose che quella specie di suicidio genetico colpì le dame del patriziato stesso piuttosto che i signori, i quali trovarono senza fatica qualche diversivo rurale al loro sacrificio. La prossima valle di Breno, la cui popolazione per verità è bellissima, e ove le donne sopra tutto stupiscono per una incredibile finezza di lineamenti, sarebbe stata — secondo le cronache suaccennate — il nido prediletto di quei titolati cuculi. Ma se la nobiltà ragusea volontariamente si soppresse, la borghesia mercantile non è estinta nè mutata da quella che, durante il fiorire delle repubbliche marinare, osava tentar la concorrenza a Venezia, a Genova e a Pisa, esten-