DUE ANNI DI OCCUPAZIONE IN DALMAZIA log naie il significato del ritorno fatale dell’Italia vittoriosa sulla riva orientale dell’Adriatico. Sarebbe bastato altresì fare qualche cosa in Dalmazia e per la Dalmazia, spendere quivi una parte di ciò che per opere pubbliche si profuse con le migliori intenzioni del mondo, ma coi risultati ben noti, in Albania. Sotto il dominio austriaco erano stati cominciati i lavori per la ferrovia da Tenin al confine croato, che furono proseguiti durante la guerra. Ora sono abbandonati. Che può fare il Governatorato di Zara, senza mezzi e senza autorizzazioni? A Roma si sarebbe dovuto sentire il bisogno di imprimere un indirizzo di alacre produttività alla nostra azione in Dalmazia. Invece la direttiva fu sempre quella che avanti dicevo: ignorare, disinteressarsi. C’erano da promuovere e favorire studi e iniziative da parte nostra per la ulteriore utilizzazione delle grandi forze idriche esistenti nella regione, e per mettere meglio in valore le ricchezze minerarie di questa. Data la nostra fame di combustibili, sarebbe stato logico e sommamente opportuno approfittare del possesso della Dalmazia per cercare di sviluppare al massimo lo sfruttamento delle miniere di carbone del Promina. Invece non mi consta che il Governo di Roma se ne sia seriamente occupato. C’ erano da prendere provvedimenti atti a far rifiorire la pesca, che rimane e rimarrà per necessità di cose la principale industria del paese, ma che la guerra, naturalmente, ha paralizzata; e per farla rifiorire bisognava soprattutto organizzare il trasporto dei prodotti in Italia. Non credo che il Commissariato degli approvvigionamenti nè quello speciale per la pesca ci abbiano ancora pensato. Come non si è ancora pensato a ristabilire ima linea diretta di navigazione, che pure esisteva avanti la guerra, fra Zara e Venezia.