DUE ANNI DI OCCUPAZIONE IN DALMAZIA I 11 della Repubblica di San Marco, l’Italia avrebbe potuto fare in Dalmazia una politica fertile di splendidi frutti. Invece non ne ha fatta nessuna. E lo si constata con dolore non tanto a Zara, ove l’ammiraglio Millo, disponendo di mezzi e poteri limitati dalle grette direttive che ho accennate, e senza uscire dall’ambito rigorosamente circoscritto delle sue attribuzioni, ha compiuto un prodigio di chiaroveggente e salutare attività, quanto a Spalato la cui particolare situazione rivela tutte le funeste conseguenze dell’inerzia del nostro Governo di fronte alla questione dalmatica. A Spalato, come tutti sanno, dopo l’efferato assassinio del comandante Gulli e del motorista Rossi, gli Italiani non sbarcano più. Ufficiali e marinai dello stazionario Puglia sono confinati a bordo, col divieto di porre piede sulla banchina. Ciò ha disposto l’ammiragho nord-americano.... Persino la spesa viveri si fa ogni giorno a mezzo di salariati della città, ai quali la gendarmeria serba fa passare la visita dei cesti e dei fagotti, avanti che si portino a bordo, per accertare se non nascondano chi sa quali compromettenti messaggi. Tutto ciò si tollera « prò bono pacis ». E a terra ottomila Italiani soffrono in silenzio la condizione di schiavitù alla quale sono abbandonati. Questo, che avviene a Spalato, non è altro che l’effetto della pusillanimità e della nonpolitica di Roma. Il primo errore della quale fu la tacita acquiescenza all’insediamento dei Serbi in Spalato medesima, ove le loro truppe si trovano solamente in base al famigerato imbroglio del generale Franchet d’Esperey, altrimenti detto trattato di armistizio della «Armée d’Orient». La Jugoslavia, riconosciuta nella sua personalità internazionale, non ancora nella sua figura territoriale, non può esercitare, almeno per ora, su Spalato alcuna facoltà sovrana. Come a Ragusa.