I CAVOLI DI DIOCLEZIANO 6l città; e i professionisti, gli impiegati, i negozianti, sorbendo il gelato, discutono posatamente di politica e d’affari; e in ciascuna delle paranze attraccate in lunga fila alla banchina i forti navigatori di Puglia, che vengono a portar qui di settimana in settimana le frutta gli erbaggi e gli echi fraterni della loro terra, cenano sotto le fumose lampade in gruppi pittoreschi, circonfusi di chiarore rossigno entro la tenebra; e qualche nostalgica nenia si alza, velata di malinconia, dal buio, tra lo sciabordio leggero dell’acqua negra e oleosa. E le frasi che si colgono passando : « Co’ bela che la xe.... » — « Bepi, gavaressistu un fulminante?» — « Stassera no le xe vegnue.... » — « La varda, per pias-sèr.... » — «Va ben, come che ti vorrà ti.... ». Da questo consueto spettacolo di modeste eleganze provinciali e di sentimentale quiete notturna, da questo chiacchiericcio di lievi e dolci parole il cui senso è nullo, la cui musica è deliziosa, si effonde soave e commovente un incanto d’amore che vi penetra l’anima: è il riflesso della Patria. E voi pensate che la plebe brutale dei predatori soglia sparire insieme col sole, e che ogni sera, come la folla borghese uscendo lietamente a passeggiare indossa i suoi abiti migliori, Spalato per desiderio di decenza e di bellezza si rivesta della sua italianità.