Spalato. Fino all’ottobre 1860, allorché al regime assolutista, travolto dal disastro della guerra d’Italia, anche l’Austria deve sostituire una forma di governo rappresentativo, la gente slava entro i confini dell’Austria stessa, e principalmente lungo la sponda orientale dell’Adriatico, è quasi da per tutto come muta e anonima. Là dove gode di qualche apparenza e di qualche vantaggio della civiltà, è tributaria di altre genti più progredite che la tengono intellettualmente e politicamente in uno stato di servaggio. Soli vegliano, coi Cèchi di Boemia, i Croati di Croazia e Slavonia, ai quali un gruppo di dotti patrioti ha restituito l’uso della lingua nazionale e la coscienza della razza, lingua e coscienza che l’egemonia tedesco-magiara era riuscita a sommergere nell’oblio. I Jugoslavi propriamente detti erano soltanto popolazioni di contadini: qua e là, riunite in grossi villaggi: ma non vantavano nessuna città degna di questo nome. In mezzo a territori slavi, Spalato, Sebenico, Zara, Trieste, Gorizia erano città puramente italiane. Ma ciascuno degli Slavi del contado, se passava dalla campagna alla città, assumeva da questa idiòma e sentimenti. Incivilendosi, mutava, senza avvedersene, nazionalità.