LA PACE ADRIATICA 165 giorni, l’apertura dei negoziati coi Serbi. Vennero su la Puglia a salutarci, con un certo coraggio, Antonio Tacconi e Leonardo Pezzoli, che, in assenza di Salvi, tenevano a Spalato la direzione del movimento italiano. Erano tristi ma non scoraggiati, come uomini assuefatti ai cimenti nei quali si deve combattere anche se si sa di non poter vincere. Contemplando con quegli amici il grandioso scenario monumentale dell’antica reggia dioclezianea, ove mi era proibito rimettere piede, mi domandavo per quale maligno destino quella città doviziosa di tanta storia e di tante bellezze fosse condannata ad essere un perenne covo di dissensioni e odi inconciliabili. Ripensavo all’immenso patrimonio di civiltà latina e italiana, del quale sopravvivevano colà imperiture memorie, non solo nelle grandi ma anche nelle piccole cose, come in quel nome « Niccolò Ugo Foscolo », inciso da un alunno distratto, durante una lezione noiosa, sul legno di un vecchio banco che, almeno fino a qualche anno innanzi, si conservava ancora in un’aula delle Scuole Reali. Ripensavo ai cinquantasei spalatini che, allo scoppio della guerra mondiale, superando difficoltà e rischi inenarrabili, erano esulati per venire a combattere volontari per l’Italia: uno di essi si chiamava Francesco Rismondo. Ripensavo all’indirizzo che, alla vigilia della Conferenza di Parigi, ottomila spalatini avevano osato sottoscrivere, nonostante l’occupazione serba, per implorare l’unione con l’Italia. Tutto questo riconsacrava il nostro disconosciuto diritto. Ma io ricordavo anche come lo stesso atleta dell’italianità dalmatica, il magnanimo Antonio Bajamonti, fosse propugnatore fervente della leale convivenza di tutti i Dalmati, e contasse fra gli Slavi dei sobborghi di Spalato i suoi più fidi