NOTE I75 derato conferire con noi, aprendoci l’animo suo e dei suoi amici col dichiararci che, crollata l’Austria, i così detti Croati della Dalmazia si sottometterebbero cordialmente e lealmente alla sovranità dell’Italia pur di evitare di cadere nella soggezione dell’odiato serbismo, nel quale essi esecrano soprattutto l’ortodossia fanatica distruttrice della fede cattolica che a noi, invece, li accomuna. Se si potesse dare, comunque, ai Dalmati l’impressione che l’Italia, venuta qui per il diritto della sua vittoria, non intende più andarsene dalla Dalmazia, questa sarebbe facilmente tutta per noi, salvo una esigua frazione di pseudo-intellettuali e di politicanti che fanno professione di jugoslavofilia godendo dei cospicui aiuti finanziari prodigati loro d’oltre la linea di armistizio. Certo è che, esaminata sui luoghi, nella valutazione concreta e positiva di tutti i suoi coefficienti, la questione dalmatica non sembra poter avere altra soluzione utile e realizzabile all’infuori dell’annessione. Mentre dalla semplice visione diretta delle zone, così poco note e studiate in Italia, risulta incontrovertibile l’importanza essenziale del possesso del-l’Arcipelago dalmatico, dell’indispensabile base di Sebenico e della barriera dinarica per la sicurezza del territorio italiano, l’apprezzamento ponderato delle condizioni locali induce a ritenere che l’annessione non darebbe origine in questa regione ai rischi nè alla maggior parte degli inconvenienti tante volte preveduti e descritti dai fautori della politica di rinuncie, ed in pari tempo risolverebbe nettamente, con soddisfazione degli stessi elementi fino a ieri a noi ostili o estranei, una posizione nocevole agli interessi della Dalmazia medesima in ragione della propria equivoca incertezza. * * * Dalle constatazioni fatte deriva chiara la conseguenza che qualsiasi soluzione, fuori dell’annessione della Dalmazia liberata, nel tempo e nei modi che il Governo potrà decidere meglio opportuni, sarebbe di danno ai nostri interessi strategici ed economici, al nostro prestigio già dolorosamente diminuito, sarebbe non l’abbandono ma il tradimento di una terra italiana di storia e di civiltà, di una popolazione che ai più puri titoli di italianità aggiunge quelli di una indomita sofferenza e di una fede incontaminata, resistente anche ai dubbi e alle minacce di sgombro ripetute nei 22 mesi seguiti al giorno della liberazione. Anzitutto è da escludere la soluzione, più volte indicata e ammessa come possibile, di Zara città libera. Zara è un puro centro di italianità, ma non è tutta l’italianità della Dalmazia, e qualsiasi confine si volesse assegnare alla città di Zara, imprigionata poi dalla usurpazione jugoslava, la libertà ad essa concessa sarebbe, come noi abbiamo potuto