174 NOTE colare, non ostante la presenza di nostre navi da guerra nel porto di Spalato, gli ottomila spalatini che hanno osato ancora dichiararsi italiani. Lo Stato italiano, col fatto stesso di avere limitato l’applicazione delle facoltà consentitegli dal trattato di armistizio ai territori assegnatigli dal Patto di Londra, ha già assunto una gravissima responsabilità verso le popolazioni della Dalmazia occupata, autorizzando in esse la persuasione di un non lontano semplice tramutarsi in perpetuo dello stato di fatto nello stato di diritto. L’abbandonare i Dalmati alle certe rappresaglie dei Serbi, sarebbe dunque non solo moralmente iniquo ma politicamente pericolosissimo, per le ripercussioni della disperata situazione in cui verrebbero a trovarsi tutti coloro, e si possono calcolare senza esagerazione in alcune diecine di migliaia, che nella Dalmazia occupata hanno già calorosamente aderito all’idea dell’annessione. Sarebbe bastata siffatta gravissima preoccupazione per indurci a considerare estremamente funesta la tendenza alla rinuncia della Dalmazia. D’altra parte noi abbiamo acquistato la convinzione che il presente consenso di una parte soltanto dei Dalmati all’idea dell’annessione è l’effetto di una condizione politica e psicologica transitoria piuttosto che il riflesso di una situazione obiettiva, e che questa potrebbe realizzare un consenso incomparabilmente più ampio sol che si seguisse una politica meno esitante nei riguardi dei destini della Dalmazia. La grande massa della popolazione rurale, ossia 9/10 del totale della popolazione dalmatica, è costituita da contadini analfabeti viventi una vita primitiva in nuclei di una straordinaria rarefazione su un territorio assai vasto, coltivato senza alcuna modernità di criterii e di mezzi. Questa massa non ha il minimo concetto della nazionalità; ma tutta la insistente azione di propaganda slavo-austriacante esercitata su di essa per tanto tempo dai preti e dai maestri della cessata Monarchia, non ha potuto toglierle l’atavica consuetudine di considerare la lingua italiana come quella degli scambi commerciali e di ima superiore condizione di vita. In molte zone della Dalmazia occupata, i contadini hanno ormai dato segno di accettare molto volentieri l’Italia, la cui presenza qui è già per essi guarentigia di ordine e di legalità. Se non che più volte ci è stato fatto conoscere il sentimento di ansietà e di inquietudine che li tormenta circa l’avvenire. Resterà l’Italia? Se fossero sicuri che restasse, si manifesterebbero senza titubanze, favorevoli ad essa. Ma tale sicurezza non hanno, e paventano le vendette dei Serbi. Uguale sentimento tiene lontani anche numerosi elementi colti delle città, fino ad oggi militanti nel campo slavo, dall’espressione formale delle loro simpatie per l’Italia. Essi aspettano, tuttora diffidenti e timorosi. Ciò non pertanto qualcuno di essi, fra i più autorevoli, ha desi-