IL CIECO VEGGENTE 77 alla letteratura della madre patria; gli Slavi inorgogliscono dell’asserita origine di chi s’era chiamato Tommasich prima che Tommaseo, non solo, ma ai sessanta e più volumi di critica, di filologia, di poesia, di romanzi, di storia, di politica, di morale, dal Tommaseo dettati nell’idioma del quale egli fu pure sommo lessicografo, molto comicamente contrapponendo un suo unico e smilzo libercolo di versi illirici « Iskrice » (« Scintille »), con la loro disinvoltura inimitabile lo proclamano maestro di due lingue e di due letterature, e tranquillamente si appropriano una metà, almeno, della sua gloria. Eppure le dichiarazioni di lui in proposito non lasciano dubbio. « Io sono italiano », scriveva egli a Cesare Cantù, « perchè nato da sudditi veneti, perchè la mia prima lingua fu l’italiana, perchè il padre di mia nonna è venuto in Dalmazia dalle valli di Bergamo. La Dalmazia, virtualmente, è più italiana di Bergamo; e io, in fondo in fondo, sono più italiano dell’Italia: Rome n’est plus dans Rome. La Dalmazia, ripeto, è terra italiana, per lo meno quanto il Tirolo (voleva dire: il Trentino), certo più di Trieste, e più di Torino. La lingua ch’io parlai bambino è povera, ma francesismi non ha; ed è meno bisbetica de’ più tra i dialetti d’Italia». E soggiungeva, malinconicamente scherzando : « Ma tutto co-desto non prova nulla. Dante dice che il Quarnero Italia chiude.... Dante m’esilia me, il disgraziato! Iddio gli perdoni! e’ non sapeva quello che si facesse.... ». Credeva invero che la storia di Dalmazia, come quella di un popolo misto di due schiatte, dovesse essere « storia di conciliazione tra Italia e Slavia, tra Oriente e Occidente ». Presentiva che la sua terra sarebbe potuta un giorno risor-