8 RICOGNIZIONE DELL’ALTRA SPONDA * * * Si suole riconoscere dai più che la Dalmazia indiscutibilmente italiana per la sua positura e per la sua configurazione naturale, per la tradizione della storia e della cultura, non meno che per le ragioni imperiose della vita economica, sia quella che comincia a nord del Narenta, e, senza comunicazioni col retroterra balcanico, raccogliendosi al fianco il suo fitto gregge di isole, si stringe fra l’alta muraglia delle Alpi Dinariche e il mare. Ivi lo slavismo non è, realmente, che una sovrapposizione a ciò che Roma e Venezia storicamente crearono. Qui, no. A sud della Narenta, la Balcania si affaccia e trabocca un po’ sull’Adriatico. Alla città che oggi non vuol più chiamarsi Ragusa ma Dubrovnik, l’Italia nulla invero diede se non una piccolissima cosa: la civiltà. Il resto, si aiferma, è slavo. Diede anche i fondatori, forse, poiché le famiglie fuggite, imperando Foca ed Eraclito, dalla vicina Epidauro, che gli Avari minacciavano di devastazione e di morte, erano certamente latine, almeno per l’idioma e per i costumi: ma il gentil sangue in poche generazioni vi si imbastardì, commisto a quello degli Erzegovesi, dei Morlacchi e degli Albanesi che dalle montagne e dalle isole trassero a « Ragusium » per farvisi trafficanti o soldati. Intanto l’aristocratica repub-blichetta, arricchitasi importando nell'interno dell’Occidente balcanico i prodotti dell’industria veneziana ed esportando a Venezia il bestiame e il legname di Serbia, di Bosnia e di Croazia, assumeva dalla Dominante le forme della sua costituzione politica: un Maggior Consiglio, un Libro d’Oro della nobiltà, un Senato di Pregadi, un Consiglio dei Dieci presieduto da un Rettore. Di Venezia, peraltro, era gelosa