— 167 — Noi non abbiamo “voluto,,. Ma vogliamo forse noi strappare alla Turchia, un lembo della sua carne viva ? Abbiamo forse, come taluni, sbarcati a Costantinopoli dei soldati ebbri (non certo di gloria) o puntati come altri i nostri cannoni contro il palazzo di Dolma-Bakcè? No. Noi chiediamo semplicemente un diritto di prelazione economica sui nostri rivali più fortunati o meno scrupolosi. Noi trattiamo col vinto, da pari a pari, seduti allo stesso tavolo, dopo averlo salvato nella sconfitta, mostrandoci cioè per due volti grandi. Non siamo noi a dirlo ; è stata la stampa turca a gridarlo, su tutti i toni, al momento della firma del trattato di Sèvres, bruciando per noi, il suggestivo incenso delle sue promesse. Oggi l’incenso è svanito e di tutto ciò, non ci rimane cbe il profumo di un sogno. Che cosa hanno ottenuto viceversa gl’inglesi e i Francesi il cui modo d’agire è stato così differente dal nostro ? Ci si esalta alla forza degli uni ; si dimenticano gl’ insulti degli altri e si tratta con loro come con dei vecchi e buoni amici, lusingatissimi se essi si degnano di smuoversi per venire sino ad Angora. Forse ci sarebbe convenuto seguire lo stesso sistema ; forse avremmo dovuto sopraffare, vilipendere, calpestare e allora Kemal, il quale oggi è in condizione di negoziare o di battersi, si sarebbe seduto con molto rispetto allo stesso tavolo, di faccia a noi, nel doloroso ricordo delle nostre legnate? Noi non abbiamo voluto ; ergo non abbiamo potuto. Ci si disprezza. Ragionamento che può esser giusto dal punto di vista militare, ma che è assurdo da quello politico.