L’opera scientifica XIII seguito. Si rappresentava l’ufficio della sciènza — e questo calore affettivo trasfondevasi nei libri e nelle lezioni — come un’ardente lotta tra la natura segreta e l’uomo rivelatore : l’ideale suo, comune del resto a tutti gli alti spiriti, ma da lui ingenuamente confessato, era d’illustrarsi in quella battaglia, con qualche trovato eroico. Spalleggiato dalla forza critica e dalla maestria nella verifica sperimentale, che non gli facevano accogliere a chiusi occhi alcun verbo per quanto autorevole, non celava la lusinga di poter rovesciare qualche verità fondamentale sanzionata; con tale intento, io ricordo, s’affaticava intorno alla termogenesi, riferita quasi esclusivamente, prima di lui, al lavoro muscolare; e, affrontando il problema del mal di montagna, gli sorrideva sin dal principio la fiducia di cacciar di nido la teoria dell’anossiemia allora comunemente ammessa. Una grande analoga finalità più tardi gli era dinanzi, quando non disperava del tutto, nelle escursioni archeologiche in Sicilia, di porre la mano sulla tomba di Minosse, della quale leg-gesi in Diodoro. Dimostrò e non a parole di possedere la vista acconcia per poter fissare così eccelse mire. Siffatte molle di passione intellettiva esercitavano la loro spinta su una eccezionale capacità d’azione e una resistenza inesauribile di movimento. Dal suo piacere per il lavoro manuale, alle ascensioni alpine ; dall’abitudine di meditare passeggiando e cantarellando, di far lezione girando intorno alla cattedra, e di assistere in perpetuo moto alle esperienze da lui dirette, sino ai pellegrinaggi archeologici, tutto lo poteva far classificare per 1111 tipo motorio, oltreché sentimentale, di pensatore. Non era raro il caso che si accingesse alle operazioni prima ancora che l’obbiettivo gli si fosse chiarito nei minimi particolari, e amorevolmente correggeva gli allievi che, avuto un tema da svolgere, spendevan soverchio tempo a riflettervi prima per ogni verso e a spigolare con scrupoli nella bibliografia. Ammoniva che per veder uscir alcunché era d’uopo provar sùbito e riprovare, proprio come se fin da allora professasse archeologia, dove qualche cosa, scavando e scavando, torna sempre alla luce. Ripeteva, all’incirca, che chi troppo sci, poco fa; e in questo differiva dal temperamento del suo primo maestro, al quale si mosse l’appunto d’aver ascoltato più l’ansia del conoscere che il bisogno di creare. In quella dovizia di attività, in quel volere perseverante, è la spiegazione parziale della gran mèsse di fatti adunata; non si vuole urtare alcuno affermando che, in quantità, la raccolta del Mosso pareggia quella di molti fisiologi italiani della sua generazione, riuniti insieme. Nello stesso modo si spiegano l’estensione data da lui al campo sperimentale e la moltiplicazione del materiale di