IV ANGELO MOSSO Pavia, da Pisa, da Genova, da Modena che s’abbracciavano e confondevano le loro lagrime coi vecchi servi del laboratorio, diceva che anche un solenne e affettuoso Maestro se n’era andato. E i personaggi autorevoli, i dotti, il popolo, che invadeva le stanze e come una copiosa corrente di pietà e di ammirazione versavasi sulla via Madama Cristina e al canto di Corso Valentino, testimoniavano che quel morto non era stato unicamente della scienza e dell’arte, ma aveva spiegato la sua benefica influenza sul più vasto campo della patria e della comunità sociale. Scrivere oggi dello sperimentatore assiduo e geniale, dell’insegnante e del conferenziere non dimenticabile, dello scrittore di scienza con rinomanza europea, dei profondi sensi e delle esplicazioni d’ogni umanità di Angelo Mosso, è assunto che incute soggezione, pur se ad esso ne abbia esortato un fiducioso e lusinghiero invito: ma nella favola di Shakespeare, il marinaio, chiamato a parlare del nobile duca Orsino d’Illiria, vi si acconcia colla riflessione « che le azioni dei grandi forniscono materia al discorrere dei minuti uomini ». I. La Vita. Le vicende esteriori della sua vita non risaltarono per troppa varietà e vistosità, legate come furono alla condotta uniforme e costante di lavoratore, all’immutato indirizzo degli speciali intendimenti scientifici (meno la digressione archeologica degli ultimi cinque anni) e alla dimora fissa per tanto tempo nella regione natale: ben si distinsero per un crescendo regolare d’operosità e di successi, a cui decorse parallela la serie dei conquistati uffici e dei meritati pubblici onori. Come il principe della fisiologia tedesca, Giovanni Müller, era uscito da un'oscura bottega di calzolai, così al maggiore dei moderni fisiologi italiani fu padre un povero falegname. Il figlio, divenuto celebre ed agiato, non nascondeva le umili origini e il loro parlante testimonio, quel semplice vegliardo che avea simpatica consuetudine cogli assistenti e col quale più d’un professore d’oggi ricorda graditamente d’avere intavolato vivaci gare di bocce in un orto annesso al Laboratorio. I genitori eran di Chieri; di Chieri si contava il nostro Maestro ed era ritenuto da noi, che ignoravamo esser lui nato tra le mura torinesi il 3o maggio 1846: bambino di pochi giorni fu condotto al paese dei suoi, donde non si mosse adolescente e giovane se non per le sedi del Liceo e del-