— 66 — bene essa appare divinità regnante sopra ogni cosa all’in-giro ed i piccoli borghi affacciati sulla costa, le fan corte festosa, e sembrano quasi accorrenti verso il suo sorriso. Pure non è sempre questa l’immagine che Trieste offre al navigatore che da una prora la guardi, anelando alla sua riva. Urla talvolta nella conca la bora con una rabbia che impaura, e l’acque hanno un ruggito leonino. Tale altra, invece, la caldura abbatte la sua coltre infocata da orizzonte a orizzonte, e allora la fumea dei grandi piroscafi neri, dei forni laboriosi della Sorvola volgenti al cielo otto orride gole nimbose, degli opifici adunati nei sobborghi nuovi, gravita come schiacciata e compressa sulle case, sui giardini, sull’ampio e fragoroso porto cui veglia il rotondo faro tutto radioso a notte delle sue luci alterne. In tale aspetto la città ha qualcosa di rude e di ansioso : par che la tesa atmosfera debba schiantare con un tuono, come una membrana immane : e con che gioia la bocca si schiude al primo soffio di vento fresco e salmastro che, rotta la brama, canta libero sulle cime dei colli e corre pei larghi viali tra uuo stormire possente di platani ondeggianti !... E si va lietamente verso il Canale, a veder palpitar le vele. Si va lungo la banchina, avendo innanzi la mole enorme del Punto Franco con le sue tettoie, i suoi rifugi, le sue stazioni, i suoi argani, le sue ciclopiche gru. Sbigottiti si guardano le carene rossastre, nere, azzurrine, bianche, fasciate di giallo e di porpora, coi fumaiuoli tozzi, gli alberi inclinati, le ciurme in movimento : e dai fianchi dei mostri, traboccano torrenti di carbone e di grano, e dai canapi, dalle catene che stridono lungo ordigni dentati pendono nel vuoto, dondolanti, malcerti, sacchi, balle, casse d'ogni forma : mentre sulle acque sozze ed oleose le barche e le chiatte s’affollano a riceverne il peso. Non questo tumulto è nel tranquillo canale invece. Qui sono i velieri : tartane, bragozzi, trabaccoli, paranze : e vengono da Zara, da Traù, da Almissa, vengono dalle