alla novella, colla solita tecnica delle morali fiabesche, si dica che il maestro sta divorziando dalla moglie, perchè questa non regge ai suoi maltrattamenti, la tendenziosità dell’autore non riesce a trionfare del lettore ed il maestro non appare sì nero come è stato annerito. Alla fine quali sono i suoi torti reali? (I) Il non essere stato- in chiesa, l’avere schivata la compagnia del prete, l’aver consigliato il fabbro! grondante sudore di non esporsi all’aria, l’aver sgridato un contadino perchè batteva spietatamente un paio di buoi attaccati ad un carro, l’aver infine consigliato l’uso di un aratro moderno che sciaguratamente si spezzò alla prima prova. Come si vede, se per « colpa » devono passare tali atti, essa è ben « parva culpa », chè il fallo, se mai, consiste nella forma, nell’apparenza, non mai nella sostanza, nelle intenzioni. E l’antipatia che l’autore vorrebbe insinuarci verso- di lui si traduce in tacita simpatia, in compassione almeno. 1 suoi « torti » insomma non ci indignano. E se con Maria si fosse comportato- meglio, addirittura sarebbe riuscito un personaggio simpatico. Non ci va a genio neppure che l’autore si occupi tanto più-dei prete che del maestro. E’ vero, sì, il prete è il suo prediletto, la figura in cui egli trasfonde la propria anima e ir* cui incarna tutti i propri ideali; com’è vero che il maestro invece non è nelle sue grazie e sta lì di necessità. Mia troppa è l’attenzione, materialmente lo spazio, le pagine che si dedicano al prete e nulla è 1’« ospitalità » che si offre al maestro. In conclusione prete e maestro sono egualmente i due poli della trama, in iscena, presenti, cozzanti fra loro; i due poli su cui s’impernia l’azione. Un po’ d’equilibrio nel loro trattamento ci sarebbe pur voluto! Siffatta mancanza fa pensare ad un difetto organico della novella. Milivo-j Srepel crede che l’abbozzo della novella debba essere stato diverso dalla sua attuazione e che assieme al prete ci debba essere stato ancora un personaggio (i) Cfr, J. Skerlic, op. cit. 57. * 42 *