24 N. PAPADOPOLI l’iperpero e il bisante diventarono in alcune parti del Levante monete ideali il cui valore non rispondeva più a quello antico. A Cipro la moneta d’oro col nome di bisante fu realmente coniata dai Lusi-gnano, ma, al tempo dei veneziani era meramente ideale e serviva di base a tutti i conteggi. Il valore del bisante di Cipro, che al tempo dei Re conteneva solo una sesta parte d’oro, quattro circa di argento e il resto di rame e si chiamava perciò bisante bianco (*>, sino al tempo di Pietro I era tale che tre bisanti e tre quarti equivalevano al ducato veneziano ; al tempo di Giacomo I ce ne volevano quattro e un ottavo e sotto Giovanni II una frazione più di cinque; finalmente al cominciare del secolo XVI dieci bisanti erano equiparati a un ducato d’oro veneziano (2). Oltre al bisante, al tempo dei Re franchi, si coniava in Cipro il grosso che valeva la metà del bisante ed era una imitazione delle monete occidentali, ma la divisione naturale e storica era il carato, ventiquattro dei quali formavano il bisante anche a Cipro. I carati non furono mai moneta effettiva e si coniavano invece i mezzi carati o denari. Il popolo chiamava carzia (xaP&K da rame) quest’ultima frazione della moneta nazionale, perchè conteneva più rame che argento. I denari di Enrico II e di Ugo IV, come quelli di Giacomo I e di Giano, hanno da un lato il leone rampante dei Lusignano e dall’altro una croce patente, semplice o accompagnata da bisanti. Sebbene manchino, forse per non essere giunti sino a noi, i denari degli ultimi sovrani che regnarono a Cipro, pure non possiamo allontanarci molto da questo tipo conosciuto per identificare le carzie battute dai veti) Lambros : Op. ci/., pag. i e segg. (2) R. Archìvio di Stato, Consiglio dei Dieci, Misti, reg. XI, c. 5 t,