338 CANTI ILLIRICI 85 Quando ciò sente di Cilino la donna, Essa strilla come stizzita serpe: Poi la donna così favellò: Ahi (corbi!) mala novella codesta! Ancor mi dite, o voi, fratelli per Dio, 90 Quando foste cogli occhi a guardare, Sapete voi ancora alcuno per nome De’ capi, il qual sia perito, Della illustre Bossina pietrosa? — Dicono i due uccelli neri: Di tutta Bossina e di suo confine : E noi abbiam loro cavato gli occhi, E del lor sangue beuto. Più a casa non ti può ritornare, Nè menar giovani schiave, Nè trarre il bottino di Serbia. L’acuta spada del tuo signore, Quale in tutta Bossina non è, E P altro vestito e 1’ armi, I servi le avevan tolte, Da portarle alla candida casa: Ma i Serbi li han colti Sull’ atto, e ogni cosa preso. Ed eccoti ora l’acuta spada In man di Milosio di Pogeria duce: E gli s’avviene (che meglio non può) Oiusto come se per lui temperata. Quand’ode ciò la donna di Cilino, Oetta la pezzuola dalla destra mano, E si strappa i suoi biondi capelli E canta dal petto bianco : Nero Giorgio, non sii mai tu lieto! Oh Chito, non rinverda tu mai ! Ch’ hai perduto il mio signore, E gli altri Bossinesi prodi, Quali Bossina mai non darà. (82) Guardare alla via, di dov’egli verrà: o, guardare a lui col pensiero ansioso e amoroso, suspicere. (84) Due versi di vera epopea. Quanti affetti e quanti fatti in due linee!