DELLA SICILIA po è abbandonato al saccheggio. L’anno seguente (i3^) il pretore Publio Cornelio Lentulo è egualmente maltrattato. Il suo successore C. Calpurnio I'isone, pure pretore, vuole attaccare i rivoltosi, ma si vede obbligato a ritirarsi con disavvantaggio (i3ti). Il pretore L. Plauzio Ipseo con un’oste di ottomila uomini, non ha miglior sorte. I ribelli prendono Tauromenio, di cui fanno la ior piazza d’armi. Il numero di essi aumenta sino a centomila. Gli schiavi d’Italia, d’Attica e Macedonia imitando quelli di Sicilia obbligano il console Fulvio a colà trasferirsi con un’armata, ma non riesce a domarli. Due anni dopo il console L. Calp. Pisone vi si trasferisce, fa levare ai ribelli l’assedio di Messina ( 133), la quale non avea voluto seguire il loro esempio, ne uccide seimila, e prende molti prigionieri cui fa mettere in croce (i3a). Il console Rupilio pone l’assedio davanti Tàuromenio, e lo stringe di blocco nello stesso tempo per mare e per terra. La fame vi si fa estrema. Gli assediati, dopo aver divorato le loro donne, e i loro figli, si mangiano tra di loro Uno Sirio, chiamato Se-rapione, consegna la cittadella ai Romani. La città è costretta ad arrendersi. Tutta la guarnigione è precipitata dall’alto di uno scoglio. Enna è parimenti presa e trattata coll’ultimo rigore. Cleone, compagno di Euno, cade tra le mani del nemico, ma muore in breve dalle sue ferite. Euno si salva con seicento uomini. Il console lo insegue; quasi tutte le sue genti si uccidono, ed Euno si nasconde in un antro con quattro de’suoi domestici. Ma vengono di là tratti a forza, caricati di ferri e posti in prigione a Morganzio. Il lor padrone è ben fortunato di morirvi da lì a poco. Rupilio, dopo avere a se rivendicate tutte le città di cui s’erano impadroniti i ribelli, pacifica la provincia, e ritorna a Roma ( 131 ), ove riceve l’onore dell’ ovazione. L’ingiustizia dei Romani e l’inesecuzione degli ordini del senato causano nella Sicilia una nuova guerra di schiavi, che non è meno della prima crudele. Alcuni di cotesti sciagurati che erano stati ingiustamente trattati dai loro padroni, non avendo ottenuta veruna soddisfazione dal pretore romano, si ritirarono in un bosco sacro agli Dei Pa-licii (io5). Costì credendosi forti abbastanza per rivol- Tom. HI. 28