218 CANTI ILLIRICI 135 Ed e’ vede quel eh’a lui la lettera dice, Allor comincia Marco a dire: Ahimè, sorella mia! Male è ire, e peggio non ire. Non temessi Sultano e Sultana, 140 lo temo Dio e Santo Giovanni. Certo andrò, non dovessi tornare. — E manda addietro il messaggio, Nè a lui d’ire e’ dice nè di non ire. Ed egli va nell’alta torre, 145 E veste l’abito suo, E indossa la pelliccia di lupo, E cinge la spada temperata: Anche piglia la lancia feritrice: Ed e’ scende alle stalle al destriero, 150 Stringegli la settemplice cigna: Poi spilla un otre di vino, L’appende al destriero dal destro lato, E dal manco la grave clava, Che non penda nè di là nè di qua: 155 Poi si getta al cavallo in groppa; Va diritto alla candida Stamboli. Quando giunge alla candida Stamboli, E’ non va a Sire nè a visire, Ma va alla nuova osteria: 160 Nell’osteria s’alloggiò. Quand’ e’ fu verso la notte nera, E’ mena il destriero alla pozza Per abbeverarlo a frese’ acqua. Ma il destriero ber l’acqua non vuole, 165 Ma si guata spesso d’intorno. Or ecco una Turca fanciulla: (137) Posestrìmo: quasi sorella. (161) Ispred quasi di faccia. Il nostro verso è metafora simile.