IL BANCHETTO DI DUSCIANO IMPERATORE. Tra molti de’ popoli slavi ciascun uomo ha un Santo (non quello sempre del nome suo) la cui festa egli celebra, e quel giorno chiama beato dì, o nome cristiano, o nome del Santo. A festeggiarlo, tutto l’anno ci pensano. La vigilia, un di casa, per lo più giovanetto, va ad invitare tutti del paese; si cava il berretto, e dice: « casa di Dio, e « vostra ! Vi saluta mio padre (o il fratello) ; venghiate al « bicchier d’acquavite: che discorriamo un po’, ed accor-« ciamo la notte. Quel che Santo Niccola (o altro Santo) « avrà portato, non nasconderemo noi. Venite, fate di non « mancare ». La sera ci va degl’invitati, o il padrone o il figliuolo o il più giovane o altri. Le donne rado. Venendo dicono: « buona sera. E onorevole a te la festa che tu la « festeggi di molte stati e anni in salute e allegrezza ». C’è chi porta una mela o un limone. Dagli altri villaggi gli amici vengono, e non chiamati : cenano, discorrono, beono, cantano. A cert’ora di notte, que’ del luogo escono, e il padrone dice: « venite anco domani al bicchier d’acquavite ». Que’ di più lontano rimangono. Il giorno dopo, vengono a colazione, poi al desinare; al quale interviene il prete a benedire il colibo, eh’ è un composto di grano cotto, zucchero, confetti, uva passa, mandorle, chicchi di mela granata, e simili; che s’alza in comignolo, e i dolci si disegnano dalle bande a croce, e una croce di zucchero candito è in cima. A mezzo il mangiare accendono la candela di cera, portano incenso e vino; si rizzano, pregano, mangiano di quel grano, beono in giro, e dicono: « alla