DELLA POESIA SERBICA CENNI DEL SIG. BOUÉ. I Serbi non cantano così spesso l’amore e la bellezza delle cose di fuori, quanto le geste de’ loro eroi, che son -come i paladini de’ tempi di mezzo. Ciascuna provincia ha i suoi. Poemi di mille e più versi, pieni di vita. Il verso non rimato, di cinque trochei, con posa dopo il secondo; e ciascuno compie il concetto da sè. Que’ per ballo son varii. Il popolo sta giornate intere a sentire narrazioni guerresche, sentite già mille volte. Cantano e con strumenti, e più sovente senza; gli uomini nel mietere, le donne nel filare e in tutti i lavori. Libera la prosodia, ammette scorci e diminutivi gentili. Il poeta nomina talvolta sè nella fine, o chiede qualcosa per continovare l’istoria. Ne’ canti per ballo o da tavola son ritornelli senza senso, o meglio di senso smarrito. Più antiche le canzoni, e più semplici e brevi. Serie le più : con dialoghi, che fan vece del dramma che manca. Le imbasciate, all’omerica, son ripetute a parola. Sovente cominciasi: E’ beea vino in tale o tal luogo, per indicare il luogo del fatto. Pare che adoprino versi composti per altri canti : e i cantori da strada sovente cuciono insieme più narrazioni, e ne fann’ una a lor modo. Danno anima e parola a insetti, a piante, a vestiti. In un canto la fanciulla inseguita dal vago è rattenuta per la gonnella dalle frasche di un arboscello; il giovane adotta a fratei suo codesto arboscello. Soli nelle foreste e ne’ prati, s’affezionano al verde e ai fiori, che tengono loro innocente compagnia nelle lunghe solitudini. Usano iperboli possenti: il grido d’un guerriero ferito fa cadere le foglie