CANTI ILLIRICI 97 nel riguardo che l’imperatore dimostra al volere di Giugo, riconosci un vestigio della forza de’ grandi, che contiene in Serbia la regia potestà, e che da ultimo è non causa ma occasione della finale ruina. Nell’atto del bere, Stefano scopre il desiderio del servo suo, nell’atto del bere l’adempie; dopo bevuto, il vecchio mette fuori il libro rivelatore de’ tempi: e Stefano cerca una sposa al suo paggio per avere un amico con chi bere in dolce allegria. I Serbi, io credo, amavano tanto il vino, anche un po’ per odio de’ Turchi. A questa narrazione quieta il poetico concento non manca. Il bieco guatare del servo povero al Sire, il dar retta che questi fa alla mestizia crucciosa d’un servo; il volere in Bogdano un amico, l’invitarlo amorevole a caccia e a cena, il consigliare a Lazzaro consigli paterni; il debito che sente corrersi il vecchio di pur rimeritare l’atto ospitale d’un uomo del popolo; l’ira feroce ma ardita de’ nove contro il regnante, e il suo franco e subito dire senza rossore e senza artifizi i desideri dell’umile suddito suo; son bellezze morali che indarno cercheresti ne’ canti d’altre nazioni più celebrate dal mondo. Nè la poesia estrinseca manca: il destriero e la caccia, la corte ed il monte, la cena e il libro de’ riti, la giovane argentiera ed il vecchio Bogdano, la coppa e le spade, i falchi e i ducati, il pomo d’oro e Miliza la figliuola più giovanetta, e l’acqua della Morava scorrente lungo la regia Crùscevo; e nel fondo del quadro, quasi segnate sul muro, parole di misterioso gastigo. E il grano, e 1’ api, e i fiori, che vengono meno. Laddove mancano le ghirlande de’ fiori, sparirà la corona di gemme. N. Tommaseo - Canti illirici. 7