246 CANTI ILLIRICI Questo si pensò l’araba fanciulla, 60 Si pensò ch’io giurassi a lei. Una sera, già fattosi buio, Apremi della carcere le porte; Mi trae di carcere, o madre: Conducemi l’ardente destriero, 65 E a se ancor migliore del mio: Su tutt’e due, valigie di ducati. Portami la spada temperata: Indi montati a cavallo, Andammo per l’arabica terra. 70 Quando il mattino albeggiò, lo sedetti, madre, a riposarmi: E me piglia l’Araba fanciulla, Mi stringe nelle nere braccia. Quando vidi, mia vecchia madre, 75 Lei nera e bianchi i denti, Codesto mi parve cosa dura. I’ trassi la spada temperata, Le diedi per il serico cinto: Attravérsole, madre, la spada volò. 80 Montai ’1 mio destriero; E dell’Araba il capo ancor favella: Fratello in Dio, Craglievic Marco, Non mi volere, misera, abbandonare! — Lì, madre, ho a Dio peccato, 85 E ricchezza acquistata: Ond’edifico assai monumenti. (68) Indi vale e di lì, e poi: come Votale in questo luogo: e come il tunc vale e lì e allora: e ibi vale tunc. (76) To se me me rnufno u finito. Travagliosa cosa. Qinìtìse vale parere : l’idea dell’apparenza i Latini traggono dal viso, i Serbi dal fatto : anco nell’apparenza pongono realità. [Cfr. pag. 192, nota 1S4J. (79) Prolecela: qui il prò vale, trans, per, e prò: dice e il passare del colpa e il ratto passare attraverso alla vita. (81) Jose vale e adhuc, ed etiam, come Vancora nostro. (86) 11 testo dice te, ch’è legame di tutta sorta idee: onde tanto frequente nelle antiche lingue. I nostri onde, dunque, però, pesano sul pensiero.