L’ULTIMA CENA DI SIRE LAZZARO. Poesia storica invero; e il fatto era degno e di poema e di storia. Narrasi la battaglia in cui perì l'impero di Serbia per tradimento, e le armi turche copersero quella terra beata, a cui forse il tempo prepara illustri destini. Il tradimento (da alcuni storici, non so se a ragione, negato) consumò la ruina che dall’interna dissoluzione era fatta inevitabile già. Nè in popolo sano nasce un gran traditore : o se nasce, non può tutto vendere nè tutto tradire. Nel canto la battaglia rappresentasi in lontananza, e, come nelle tragedie greche, narrata: il più prossimo a noi è il dolore d’una infelice moglie e sorella di principi uccisi, regina di gente tradita. L’affetto umano ha di bisogno di fomite per farsi possente: il pensiero poi di là, come luce da lume, si diffonde per tutte le cose. Tale è l’angustia del nostro sentire, tali i confini da Dio providamente segnati al patire umano: tale la legge per cui la famiglia in prima, poi la casa, poi la patria ci accostano più dell’ umanità tutta quanta. Il canto comincia da convito, finisce in morte. Poteva Lazzaro ripetere con Leonida : « Ceniamo in pace ; domani « sarem pasto di corbi. » Il contrasto fra i dolci affetti domestici, e l’orrore degli odii, e, peggio, de’ tradimenti, è pieno di cupa, e pur soave, pietà. Senti in tutte le parole degli accorrenti a combattere un’aura di morte; e insieme una ispirazione di sommessa costanza, ch’è più coraggiosa del baldanzoso coraggio. Chi muor bene, è più nobile di chi bene trionfa. Più splendida e più sacra corona è la morte.