DELL’AMERICA 145 stantemente la testa sicché finiva col divenir piatta. Quando la madre viaggiava Io trasportava sul suo dorso unitamente al suo bagaglio. A nove mesi i fanciulli erano in istato di camminare. I maschi venivano impiegati nella pesca sino all’età di quindici anni, in cui incominciavano la caccia. Quando aveano portato a casa una data quantità di selvaggina potevano maritarsi, ma non prima di aver adempito a tal condizione. Si celebrava la cerimonia del matrimonio alla presenza dei parenti ed amici. Lo sposo presentava la sua fidanzata di un osso, ed essa gli oiTriva in ricambio un sacco di mais, lo che significava dover egli somministrare il carname ed ella il mais. Le fanciulle aiutavano la madre a piantare il mais, preparare il pranzo, far stuoie, panieri e corde. I maschi prcnileano moglie all’età di diecisette o dieciotto anni; le ragazze si maritavano di tredici o quattordici anni. Arrivate eli’ erano all’ età pubere portavano intorno la testa sino a mezzo la fronte una specie di treccia di paglia rossa o turchina frastagliata con fili di conchiglie rosse e bi.inche. Si dipingevano la faccia di rosso, e di nero quand’erano in lutto. I loro Wigwam ossia capanne erano formati di teneri arboscelli raccomandati a bastoni forcuti fitti in terra e coperti di stuoie o corteccia d’alberi. Molte di quelle capanne erano collocate a piccola distanza tra loro e costituivano un villaggio, e poste sempre verso un’acqua corrente a favore della caccia e della pesca. La porta era di faccia al sud e nel mezzo del Wigwam stava il focolaio. Consisteva il loro vestito in una pelle o coperta stesa sopra le spalle che discendeva sino al ginocchio; colla stessa erano pure coperte le gambe e i piedi calzati con rnochassons ossia scarpe fatte colla pelle acconciata di bisso, o di daino. II selvaggiume formava il principale loro alimento; oppine il pesce e il mais abbrustolito sotto la cenere, o bollilo e cotto nell’acqua, ciò ch’eglino chiamavano homine. Essi facevano due pasti il giorno, cioè mattino e sera, e marciavano per terra. T.° XVIII.0 P.e 111.“ io