Fiume lugli anni di guerra 105 a centinaia, a migliaia giungevano nella nostra città i soldati d’Italia, laceri, scalzi, affamati; tremavano dal freddo e morivano dalia fame. Allora, affrontando il pericolo dell’esilio, a coppie, a frotte accorrevano al loro calvario le donne fiumane con la fetta di pane nascosta nel manicotto, con la boccetta di latte celata nella saccoccia, con il pezzo di carne avvolto nella carta, colle calze di lana infilate nella manica del cappotto. Ma non bastava ancora: la fame e il freddo menavano gran strage tra la perduta gente; e allora i prigionieri, nascosti alla sbirraglia, che frugava da per tutto, e travestiti, furono ricoverati1 nelle nostre case, medicati dalle nostre donne ed i morti sepolti da noi stessi nelle tenebre della notte. Le donne fiumane non conobbero sacrificio: affrontare il maggior pericolo era poca cosa, era un onore, era l’orgoglio per l’amore d’Italia. E così si vedevano coperti di fiori rossi, bianchi e verdi i tumuli dei soldati italiani; e una mattina si vide coperta di fasci di rose bianche e rosse la fossa dell’aviatore siciliano Capparello caduto il 1° agosto 1916. L’anima italiana di Fiume si affermava in ogni occasione. Nè le minacce, nè gli internamenti, nè l’esilio, nè le persecuzioni poterono infrangere la volontà dei fiumani; l’anima italiana di Fiume si affermava contro tutto e contro tutti. E non poteva essere diversamente. Bisogna essere stati là, sui confini della Patria, aver sofferto, aver lottato, adorando il nome d’Italia, essersi imposti infiniti sacrifici per i santi ideali della Patria, aver ereditato una magnifica tradizione nazionale, avere sperato appassionatamente nella libertà