56 PIUME ATTRi VERSO LA STORIA in disuso, e più ancora per impedire che qualche magistrato uscisse dai limiti e usasse arbitrariamente della sua autorità a danno dei cittadini e della patria, i nostri maggiori di quel tempo si affrettarono a metterle sulla carta. L’incarico di raccogliere i nostri ordinamenti, leggi e consuetudini verme affidato al giure-consulto ferrarese Goffredo Confalonieri, il quale, recatosi a Trieste a confrontare i nostri statuti con quelli della città sorella, li adattò allo spirito dei tempi e alle esigenze della nostra terra, e, compiuto il lavoro, li presentò nel 1527 al consiglio di Fiume, che li rimise all’imperatore per la sovrana sanzione, concessa ai patri statuti nell’anno 1530. Lo statuto ferdinandeo è diviso in quattro libri: il primo stabilisce l’ordinamento del comune, e la sfera d’attribuzioni dei magistrati, il secondo parla della procedura civile, il terzo di quella penale, il quarto di cose straordinarie. Quale sia stato l’ordinamento amministrativo della città l’abbiamo veduto nel capitolo del quattrocento. Leggendo i due libri successivi, che si riferiscono alla procedura, vediamo che lo statuto ricorreva a barbare leggi, le quali punivano con lo stroncare un membro a chi offendeva l’immagine di un santo, e condannavano con molta facilità al rogo, alla decapitazione, alla tortura; tuttavia dobbiamo riconoscere che gli statuti contenevano sagge disposizioni, le quali regolavano e dirigevano sapientemente l’operosità e la vita cittadina. Basti dire che c’era il calmiere del pane, della carne, del pesce, che erano stabiliti i prezzi del vino, delle biade, dei legumi, della macinatura del