Dal 1823 al 1848 83 e piccoli. Con la poppa verso il mare in lunghissima fila posavano a volte su gli scali i navigli; e ferveva intorno ai cordami il lavoro dei calafati, dei mastri d’ascia, degli alberanti, dei remai, dei cordai, dei velai. Alcuni rincatramavano i legni non sani che non potevano navigare; altri ristoppavano le fessure nei fianchi dei navigli che avevano fatto lunghi viaggi; chi ribatteva da prora e chi da poppa; chi faceva remi; chi faceva corde e chi funi; a altri ancora tagliavano la legna e rappezzavano le vele o ne facevano di nuove; ed altri facevano bollire la pece. La riva risuonava di voci, di suoni, di grida: erano i nostri bravi mastri che vivevano al mare e del mare. I fiumani guardavano con vanto a questo immenso cantiere che varava navi ricercate in tutti i paesi, anche nelPAmerica, e recava alla città un guadagno di quasi due milioni di fiorini all’anno. Erano quelli tempi felici per Fiume che s’arricchì e s’ingrandì. Ciò va inteso per il commercio marittimo; ma è da sapere che anche il commercio terrestre si ravvivava nello stesso tempo e bene. Dall’Ungheria, dalla Croazia giungevano ogni sorta di prodotti sulla nostra piazza; l’importazione e l’esportazione andavano a mano a mano aumentando. Le cose più notevoli di questo tempo, che, nel progressivo sviluppo della città, si riallaccia al periodo teresiano, sono: la chiesa dei Greci (1786); il distacco di Fiume dalla diocesi di Pola e la sua incorporazione a quella di Segna e Modrussa (1787); la prima diligenza postale tra Fiume e Trieste (1794); il Teatro Civico, sorto per iniziativa di Andrea Lodovico Adamich (1805); il Casino dei commercianti, aperto nel 1806, e