DEI GRAN FEUDI ,o7 Giunse al colmo la disuguaglianza allorché per timore o per grazia i gran proprietari unirono al loro patrimonio ricche abbazie, rendite del fisco ed anche pubblico potere. Tali favori dapprima amovibili, si fecero ben tosto perpetui ed eressero delle famiglie che dopo Carlo il Calvo divennero rivali del trono. La nazione divisa tra esse non conobbe altro legame che quello del vassallaggio e mancarono al sovrano le forze per mantenere la sua potenza. Tale fu lo stato deplorabile in cui si trovò Carlo duca di Lorena alla morte di Luigi V. Era incontrastabile il suo diritto alla corona, ma non potendo sostenerlo, il più forte de’suoi vassalli osò contendergliela. Ugo Capeto erede del proprio padre morto nel g56 fu come lui prinoipe dei Franchi, dei Borgognoni e dei Bretoni (Doni. Bouq. tom. Vili pag. 254; ton:1, IX pag. 733). Biccardo duca di Normandia lo chiamava di lui signore sin dal 968 (ibid. tom. IX pag. 73i). Nella Francia propriamente detta Ugo possedeva l’abbazia di San-Riquier che era stata la dote del ducato marittimo (ibid. pag. 638). La contea di Senlis e quella di Beauvais appartenevano ai suoi vassalli (ibid. tom. X pag. 288, 354 n-) c divideva col vescovo di Amiens la contea di questa città. A questi immensi dominii egli univa una potenza già consolidata, una autorità rispettata, ma non essendo del tutto spento nei Franchi l’amore pel sangue di Carloma-gno, Ugo ne temeva gli effetti. La disunione della famiglia reale accelerò la rivoluzione. Ugo fingendo di mostrarsi fedele alla regina Emma avea dichiarata la guerra a Luigi V. I suoi partigiani lo acclamarono re e furono abbastanza potenti per impedire la consacrazione c la liberazione di Carlo. Dopo l’assemblea di Quiersi dell’877 erano stati cosi costanti i progressi della sovranità feudale che era quasi generalmente stabilita la poliarchia dei feudi. Se alcune carte dei due secoli posteriori suppongono esistere ancora delle proprietà allodiali, esse non ne sono sempre una prova certa. Il diritto di pronunciare l’ammenda del bando reale e la pena di morte che costituiva l’alta