DEI DUCHI DI WURTEMBERG io3 «tizia, non meno imparziale che pronta, attrasse massimamente la sua attenzione; ed uno zelo rischiarato dai progressi delle lettere gli rese caro il lustro dell’università di Tubingia e di quella di Stuttgard, che, siccome sua opera, venne appellata dal suo nome la Carolina. Abbracciando questa più scienze che non si sogliono coltivare nelle altre università, richiamo un numero ragguardevole di giovani dai più lontani paesi. Mancava nel Wurtembcrg una pubblica biblioteca; c Carlo ne fondò una a Stuttgard, divenuta orinai ragguardevole pel numero, pregio, varietà e rarità de’monumenti d’erudizione, e ch’egli non cessò giammai di arricchir^ con nuovi acquisti. In essa si contano, e lo sappiamo da buona fonte, fino ad ottomila edizioni della Bibbia in diverse lingue. All’università di Stuttgard questo principe unì un’accademia di arti, la quale provvide al bisogno che si avea per lo innanzi di ricorrere agli stranieri affinchè ne desser lezioni. Gli stati di Carlo vennero in seguito cresciuti con numerosi e rilevanti acquisti, fra cui ci contenteremo indicare j principali, che sono la piccola città di Boenigheim con alcuni villaggi, di cui era primamente proprietario l’elettor di Magon'za, la signoria di Justingen ed una parte considerevole del ducato di Limburgo . Benché il lustro della casa di Wurtemberg si fosse diffuso sotto il governò di Carlo, atteso il matrimonio delle due nipoti figlie di Federico suo fratello, i cui nomi rifulsero sui due principali troni d’Europa, quello d’Austria e quello di Russia. Nè codesto splendore, nè la personal gloria che a lui derivò dalle grandi cose operate in ogni rapporto ne’ propri stati, corruppero minimamente il cuore di Carlo, o gli inspirarono quell’orgoglio che seduce le anime volgari, dietro vantaggi incomparabilmente meno abbaglianti. Or eceone una prova. « Nel 1778 questo degno principe, dice il basi rone di Risbeck (Vedi VAlem., tom. I, pag. 16-17), » scelse il giorno de’suoi natali per pubblicare un proclama v del seguente tenore: Io son uomo, e per conseguente » assai lungi da quella perfezione, che non ispero nemmeno » di conseguire; la debolezza che accompagna l’umana na-» tura mi toglie di poterlo pretendere. S’io giunsi alla « dignità in che mi vedete, ciò avvenne non tanto per la