DEI CONTI POI DUCIII DI VENDOME 659 in Saragozza (i). Il duca di Vendome inseguendo Stahrem-berg di luogo in luogo ne’due successivi anni, era già a quelle di cacciarlo dalla Catalogna e riconquistare questa provincia^ quando l’11 giugno 1712 fu colto dalla morte in conseguenza d’ una indigestione (2) a Vinaros nel regno di Valenza in età di cinquantott’anni. I più recenti storici francesi sostengono, che il suo cadavere venisse trasferito all’ Escuriale per essere tumulato nella tomba dei re di Spagna} ma un viaggiatore ancor più recede oppina al contrario, che questo corpo sia rimasto a Vinaros, ove si vede, die’egli, il di lui avello (Voyagefaìt cn Espagnc dans les annecs 1777 et 1778, tom. II, pag. 109). Noi però, siccom’esso, avvisiamo non essere quello un semplice ccnotafio, ma bensì una sepoltura reale, appoggiandoci agli scrittori spagnuoli, che nella storia di Filippo V non avrebbero certamente ommesso questa traslazione, se realmente svia marcia ; fece scandagliare il Tago, che si trovò rapido e profondo : alcuni scogli nel mezzo, ponendo ostacolo al suo corso, formavano de’gorghi, accrescendo così il pericolo. Tuttavia la salvezza dello stato poteva-dipendere da un solo giorno di cammino. Vendome si rivolge alle guardie: Miei amici , voi siete valorosi ; abbiamo duopo di sollecitudine . . . Disse, e già il suo corsiero fende i flutti . . . guardie e cavalieri si sforzano a spesse file di seguire e di tutelare l’eroe „ (Eloge, ibid.). Il tragitto fu felice, c le conseguenze quali il generale le avea prevedute. (1) Tornato Filippo a Madrid insieme col duca di Vendome, lo nominò primo principe del sangue; e qualche tempo dopo, essendo giunti i galeoni di Spagna, ne prelevò la somma di cinquecentomila lire per fargliene dono. Sire, il duca allora gli disse, io sono tenuto alla magnificenza di vostra maestà ; ma vi prego di far distribuire quest? oro aì vostri bravi Spagnuoli, il cui valore vi serbo tanti regni in un giorno. (2) Questa indigestione procedeva dall’ abuso di certe chiocciole. Essa però non fu mortale che per l’ignoranza del chirurgo che curava 1’ eroe ammalato. u Egli è un contrasto assai commovente di grandezze e di umane miserie il vedere un principe liberatore d’uno stato potente perire per difetto di que* soccorsi, che il meno agiato particolare di Parigi sarebbe al caso di procacciarsi. La bontà di Vendome non si smentì neppure in quel punto : egli riprese il suo chirurgo con molta dolcezza, allorché questi gli palesò il pericolo in che si trovava, ed il proprio rincrescimento di non avere chiamali i medici. Rimasto nel suo buon senno fino all’ultimo istante della vita, vedendo egli piangere l’abate Albergotti (che poscia fu cardinale), cosi. gU diceva : Mio caro abate, e duopo che ci lasciamo: che posso io fere per voi ? In fine egli manifestò non meno tranquillità che rassegnazione, ed edificò colla sua pietà tutti quelli che prima lo veneravano come un eroe ( Eloge du due de Vendome).