— 32 — chicchessia, ma dalle condizioni della civiltà propria, da quella dei tempi, da circostanze che sono le conseguenze dell’ una e dell’ altra. Da questo principio, semplice come 1’ uovo di Colombo, ma che molti scrittori intorno Venezia non seppero trovare, e, non trovatolo, caddero negli spropositi e nelle fantasie da romanzieri, da questo principio vennero le successive e graduali trasformazioni nella sede dell’ autorità sovrana. Una consociazione di comuni che si governava democraticamente, ma nella democrazia aveva 1’ elemento romano dell’ aristocrazia provinciale, quella dei decurioni, dal quale venne il patriziato veneziano; monarchia democratica elettiva, e per poco non ereditaria, della quale si dovette temperare l’autorità; progressi dell’aristocrazia sulla democrazia, che venne tolta di mezzo. Da ciò furono tolti di mezzo i pericoli delle tirannidi cittadine, che distrussero la indipendenza negli altri comuni italiani, perchè i molti governanti aristocratici veneziani non potevano compararsi ai signori, feudatari di principati stranieri, che distruggendo le libertà popolari, e nè forti nè unanimi fra loro, aprirono gli aditi alla servitù della penisola. Il tempo e lo studio mi confermano in quello scrissi nella Venezia e le sue Lagune, che il segreto pel quale 1’ aristocrazia veneziana raccolse in sè stessa la sovranità con danno della democrazia, e pel quale la democrazia patì, senza commuoversi veramente e caldamente, questo danno, consiste nello sviscerato amore della indepen-denza che di leggieri si sarebbe perduta, se il popolo non avesse sostenuto il doge Gradenigo contro a Que-rini e a Tiepoli , e non avesse veduto decapitarsi le