— 159 — diciotto degli assalitori e due de’suoi erano nella mischia periti (1). L’ accusa è grave, ma gli assalitori avevano sofferto danno maggiore ; e noi possiamo argomentare che non fosse priva di colpa nè 1’ una parte nè 1’ altra, giacché Courtenay, vescovo di Winchester, spedito dal Re a fare inquisizione sul fatto, raccomandò che la querela dovesse esser composta con ciò che il Dispaccio veneziano chiama un poto dì vino. Il Vescovo probabilmente parlava in lingua francese, e usò la frase poi de vin nel senso di mancia o di deodandum (2). In altra circostanza, Enrico VII, il cui precipuo merito personale, come re, fu di dare rigida forza alla legge, fece giustizia sommaria di certi masnadieri, i quali, avendo assassinato sulla via alcuni mercadanti girovaghi veneziani, furono impiccati a Southampton dinanzi all’ armata veneziana. Nel 1506 dobbiamo notare le particolarità d’ una visita che Vincenzo Cappello, capitano delle galere, fu invitato a fare al re Enrico VII. Il re usò con lui la più grande famigliarità, e, conducendolo in un piccolo appartamento del palazzo di Richmond, lo presentò a Caterina d’Aragona, vedova a quei dì del principe Arturo, la quale studiava sulla spinetta colla principessa Maria Tudor, che aveva allora nov’anni. Offerse all’ammiraglio 1’ onore della cavalleria, che fu ricusato dal Cappello ; il quale peraltro acconsentì ad inquartare nelle sue armi il leone inglese, e sulla sua tomba a S. Maria (1) Sanuto, Vite dei dogi. MSS. facc. 310 ; e Malipieho, Annali, p. II, facc. 624. (2) Offerta espiatoria per la morte di un uomo ucciso per accidente.