— 143 — d’Inghilterra, i quali naturalmente desideravano di gratificare i lor favoriti nei modi che riputavano men dispendiosi a sè stessi, solevano accordare de’ monopoli (uno dei quali era quello delle uve secche) con grave discapito del commercio e malcontento dei sudditi. Ma se le rimostranze de’ comuni e la coscienza de’ loro propri interessi erano inefficaci, le lagnanze dell’ ambasciatore o del console veneziano non dovevano probabilmente ottenere miglior successo. Per lunghi anni il dazio delle uve secche fu costantemente un soggetto di querele reciproche, ed anche nel 1629 essendosi già restituite le relazioni diplomatiche fra 1’ uno e 1’ altro governo, la questione sembrava più che mai lontana da un accomodamento ; poiché 1’ ambasciatore Contarini non poteva trovar migliore conforto di questo : assicurare, cioè, la Signoria che « quanto al bandir generalmente l’uve passe, questo non » può seguire senza un universal discontento de’popoli, » i quali, oltre che ne fanno maggior consumo che in tutto » il resto del mondo, sono tanto avezzi et amano questo » lusso, che si sono trovati di quelli che per non haver » danari da comperarne in certe solennità popolari, che » si accostumano, vien detto che si siano impiccati » (1). Ma sebbene il commercio con Venezia non fosse un affare di vita e di morte nel senso letterale del sopraccitato dispaccio del Contarini, non v’ ha dubbio tuttavia che il commercio formò il vincolo più importante tra i due paesi. Prima che si spedissero ambasciatori e consoli, e per lungo tempo dipoi, la principale corrispondenza fra (1) Lettera da Londra dell’ambasciatore Alvise Contarini, 23 Febbrajo 1629, more communi.