— 138 — invogliesse alcuni punti difficili di diritto internazionale, era fatta più scabrosa e più ardente dalle quìstioni religiose. L’abate Leith, che abbiamo ricordato già prima come bibliotecario della Marciana, mori senza testamento; e Broughton, qual console, esigeva le chiavi degli effetti ¿mobili di lui. Ma l’abate defunto era egli forse suddito naturalizzato della República ? Quando lo avesse pure voluto, poteva egli cangiare di sudditanza ? La sua proscrizione dall’ Inghilterra in che modo influiva su tale questione ? E veramente era egli stato proscritto ? E sopra tutto, quali erano a questo tempo i confini della giurisdizione dei consoli ? Tali erano le questioni calorosamente discusse fra la Signoria e il conte di Nottingham, secretario di Stato del re Guglielmo : l’uno sosteneva il presbiteriano erede legale in Iscozia, 1’ altra alcuni pretendenti cattolici romani in Venezia, e non fu possibile accordare in questo caso le parti, nè relativamente ai fatti, nè relativamente alla legge. Le notizie dei consoli inglesi, nei successivi tempi tranquilli, si riferiscono solamente alla loro pretesa di essere ricevuti come agenti diplomatici nell’ assenza fortuita dell’ ambasciatore, e di conseguire gli onori riserbati alla diplomazia (1). Il console in tutti i tempi traeva (1) Fra le tante dispute cagionate dalle pretensioni dei Consoli, quella che segue è una delle più straordinarie. Nel 1640 Enrico Hyde (uno dei fratelli di Lord Clarendon, che nomineremo più tardi), essendo console in Morea, scrisse in Venezia ad Hobson, perchè gli facesse fare un sigillo, ove fossero incise le armi reali inquartate con le sue proprie. Questa mostra d’arroganza consolare irritò il secretario Talbot per tal modo, che voleva indurre il Senato, a dispetto del buon senso