Niazi beij e le bande 171 smentire la voce che fosse stato ucciso dai Giovani Turchi. « Non è vero, egli scriveva, che io sia caduto vittima dei Giovani Turchi. Vivo fra i miei eroici camerati, nei monti, per combattere il regime assoluto, e far convocare un’Assemblea Nazionale. Sono conscio di poter por fine alla lotta fratricida che strazia la mia cara patria. Non sono mai stato aiutante di campo di Ililmy pascià (come ha detto qualche giornale austriaco) : Ero addetto alla Commissione per l'inseguimento delle bande in Rumelia ». Niazi bey, qualche giorno dopo, in un manifesto rivolto ai villaggi bulgari serbi e greci del distretto di Okrida, dopo aver posto in rilievo lo scopo liberale dei Giovani Turchi, esortava la popolazione cristiana a rinunciare alle aspirazioni particolari, e a non lavorare per gli stati stranieri, ma bensì per la patria comune. «Questo paese ci appartiene — si diceva ancora in quel manifesto, — e fino a che un turco vive, non possiamo permettere a qualsiasi altro Stato di governarci ». Niazi chiedeva quindi che le bande delle varie nazionalità si presentassero a lui, onde decidere, d'accordo una azione comune, e minacciava pene severe a quelli che non avrebbero accolto l’invito. In realtà delle bande, solo alcune risposero all'invito; però, simpatizzando col movimento, si astennero, durante tutto quel tempo, di agire. Evidentemente, le bande delle varie nazionalità avevano avuto la parola d'ordine. Ed è stata una delle grandi abilità del Comitato Giovane Turco, quella di aver saputo, durante tutto quest’anno di propaganda, convincere i cristiani che nulla esso avrebbe fatto contro di loro, che, anzi, i Giovani Turchi vagheggiavano un regime di uguaglianza e di fratellanza.