208 LA RIVOLUZIONE moulo contro il Sultano, così vivo, così profondo, era sopralutto determinato dal doloro nel constatare che, con quel regime abbietto, l'islamismo ha perduto terreno in Europa, che presto la Turchia sarebbe stata cacciata in Asia, e che, nel breve giro di tront'anni, sono ritornate sotto il dominio cristiano terre sulle quali, por secoli, aveva sventolato la bandiera con la mezzaluna. Abbiamo ancora perduto, essi dicevano, sotto Abdul-IIamid, una parte della Serbia, quasi tutto il Montenegro, la Bosnia, l’Er-zegovina, la Rumelia Orientale, Tunisi, Cipro, l’Egitto, Creta, e ora, se non si muta sistema, Uniremo per perdere anche la Macedonia, già per metà in mano dei cristiani. Vi sono Giovani turchi — io scriveva un giorno prima della Costituzione — nei quali ò ardentissimo il sentimento patriottico, sotto l’antica forma delia religione, e nei quali è così fervente il sentimento panislamitico, che perdonerebbero ancora tutto al Sultano, che lo acclamerebbero con entusiasmo, come oggi lo vilipendono, se lo vedessero montare a cavallo, e con la spada di Osman marciare alla testa delle sue truppe, per riconquistare all’IsIam le terre perdute! Dei Giovani Turchi fanatici, ecco, quello che forse può meravigliare a tutta prima, ma che mostra come la situazione sia intricata, e come sia complessa anche la questione dei Giovani Turchi e del loro programma. Quello che ò accaduto di poi, l’abilità, il tatto col quale seppe condursi il Comitato, mostra ohe l'altra corrente, ha prevalso. Al contatto della realtà anche i nazionalisti intransigenti debbono aver capito che tutto sarebbe stato ancora compromesso se si fosse seguita altra via: se la rivoluzione anziché in nome della civiltà fosse stata fatta in nome d’un patriotti-