166 LA RIVOLUZIONE vrebbero potuto se non fare abortire, per lo meno rendere impossibile il trionfo senza una lotta sanguinosa. Quelle uccisioni — dicono i Giovani Turchi — sono state una necessità. Senza di esse sarebbe slata inevitabile una lotta fratricida nella quale nessuno può dire, quante sarebbero state le vittime da una parte e dali’altra. In Europa, nemmeno dopo la rivolta di Niazi bey, si volle credere ad una vera e propria rivoluzione. La stampa e la diplomazia commentaiono la cosa dicendo che, d'allora in poi, oltre alle bande serbe, bulgare e greche, si sarebbero avute anche le bande turche! Ma, a lldiz Kiosk, si persuasero presto della gravità della situazione, e si avvidero che, il trono, la vita stessa del Padiscià, potevano essere in pericolo da un momento all’altro, se non si riusciva a soffocare la rivolta sino a che rimaneva circo-scritta al vilayet di Monastir, e fino a che si trattava soltanto di due o trecento soldati ribelli. Contro Niazi bey, il quale coi suoi aveva stabilito il suo quartier generale a Resila, verso il lago di Okrida, si telegrafò da Costantinopoli al comandante di Monastir, di mandare subito due battaglioni, coll’ordine di prenderlo vivo o morto. Ma i battaglioni rifiutarono di marciare! Da lldiz Kiosk si telegrafò allora al generale Schemsi, comandante della 18* divisione di fanteria di guarnigione a Mitrovitza, di recarsi subito con le sue truppe a Monastir per marciare immediatamente per Resna, e domare i ribelli. Il Sultano aveva fatto cadere la sua scelta su Schemsi pascià, perchì1 questo generale era considerato come un soldato energico: uno dei più risoluti del suo esercito. Schemsi pascià il quale, da semplice soldato, percorrendo tutti i gradi della carriera, era arrivato al grado di generale, aveva passato parec-