Il discorso del Trono 277 scorso del Trono al suo primo segretario Said pascià. E quando si trattò di scegliere il Presidente della Camera — di nomina sovrana — confidò l’alta carica ad Akmed Vefik effendi, un uomo colto, antico allievo del Liceo Saint Louis di Parigi, che aveva tradotto alcune opere di Molière e di Shakespeare, ma notoriamente avversario di Midhat. Come presidente della Camera fu uno strumento di Abdul-Hamid, sempre pronto a togliere la parola ai deputati che osavano esprimere opinioni non ortodosse e biasimare la politica del Governo, e a redarguire severamente quelli che, andando più in là, si permettevano delle allusioni al Palazzo. Tollerò che qualche deputato facesse l’elogio della vita semplice, modesta, economica degli antichi Califfi, i quali vivevano più a buon mercato dei presidenti delle Repubbliche, ma impedì risolutamente, facessero paragoni con la Corte dell’attuale erede dei Califfi, e interruppe sempre gli oratori, quando accennavano ad attaccare i favoriti nefasti che già fino da allora, circondavano il Sultano, e specialmente il marescial- lo di palazzo Mahmoud Dieladdine (1). Siccome poteva disporre completamente della maggioranza, e-letta con i sistemi ai quali ho accennato, spesso ricorreva al sistema delle porte chiuse — e allora non si pubblicava nemmeno il resoconto sommario. Il Presidente aveva poi un modo tutto suo nello stabilire le gradazioni relativamente al modo di trattare gli onorevoli rappresentanti della Nazione. Da buon turco e da fedele mussulmano, aveva un certo rispetto per gli ulema dal turbante verde e bianco. Se doveva redarguirli lo faceva con molta misura e con riguardo; ma trattava come degli scolaretti (1) Paul Fesch, opera citata.