— 3i — Protestarono i soldati che essi avrebbono bensì ub- / bidito al console, ma soltanto qualora egli fosse arrivato di Roma secondo 1’ usanza dei maggiori, cioè dopo pronunciati i voti in Campidoglio, indossato il paludamento e cintosi dei suoi littori, senza di che non lo riconoscevano per nulla. Allora Caio Claudio, cieco d'ira, chiamato il vice-questore, gli ordinò di portare le catene per caricarne Giunio e Manlio, e mandarli così in ferri a Roma. Questi gli rise in faccia, e 1’ esercito, che stava intorno e favoriva la causa dei suoi antichi capitani contro il console, gli aggiungeva audacia col suo contegno. Allora codesto imbecille, impotente contro le contumelie de’ singoli c oppresso dagli schemi della moltitudine, rimontò sulla stessa nave colla quale era venuto, e tomossi ad Aquileia. Di là scrisse al collega che a quella parte di nuovi soldati eh' era stata levata per 1’ Istria ordinasse tosto di radunarsi in Aquileia, affinchè, com' egli ci tornasse, nulla il ritenesse più in Roma, e potesse subito, appena pronunciati i voti, ripartirne tosto con paludamento e littori, cioè ben premunito contro ogni rinnovarsi delle patite scenate. Il collega vi si adoperò premurosamente, e fu intimato a’ nuovi legionari brevissimo termine a dò. Il frenetico Gaudio raggiunse quasi le sue lettere. Arrivato a Roma, detto orrori al popolo di Manlio e di Giunio, non fermatosi quivi più di tre giorni per mettersi in piena regola, tornò alla sua provincia con la stessa precipitosa celerità. Se non che, pochi giorni innanzi, Giunio e Manlio